Il punto

Rallentamento globale e non recessione resta l'ipotesi al momento più probabile

Valerio De Molli: «In molte parti del mondo la crescita rimane significativa, a cominciare dagli Stati Uniti
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Lino Terlizzi
Lino Terlizzi
04.09.2023 00:00

Nel Forum Ambrosetti, che si è tenuto dal primo al 3 settembre a Villa d’Este di Cernobbio, anche quest’anno si è seguito lo schema consueto, con la prima giornata dedicata al quadro economico e politico mondiale, la seconda segnatamente al quadro europeo, la terza a quello italiano. A Valerio De Molli, amministratore delegato di The European House-Ambrosetti (TEHA), abbiamo chiesto valutazioni su alcuni dei capitoli principali su cui si è sviluppato il confronto nel Forum internazionale sulle rive del lago di Como. 

Il contesto

Per quel che riguarda il contesto globale, da molti mesi gli esperti si dividono, c’è chi vede una recessione annua mondiale e chi invece vede un rallentamento che non si tradurrà in recessione. Per De Molli questo secondo scenario resta il più probabile. «I segnali che leggiamo in diverse economie mondiali - spiega - fanno propendere per la seconda ipotesi. In molte parti del mondo la crescita è significativa, robusta e, almeno apparentemente, piuttosto solida, a cominciare dagli Stati Uniti. L’economia cinese è sì in rallentamento, ma questo vuol dire che la previsione di crescita per il 2023 è, secondo il Fondo monetario internazionale, al 5,2%. Il rischio di un esacerbarsi della bolla immobiliare pone potenziali rischi sulle prospettive di crescita cinesi, ma non al punto da paventare una recessione. Il contesto europeo è meno positivo, ma i segnali legati alle dinamiche inflattive sembrano ottimisti e quindi anche nel nostro caso è più probabile un rallentamento della crescita che una recessione».

Ci sono posizioni diverse anche sulla linea tenuta dalle maggiori banche centrali nella lotta all’inflazione, su quella della Banca centrale europea in particolare, accusata da una parte degli esperti di puntare troppo sul rialzo dei tassi.  «La BCE si è trovata in una situazione particolarmente complessa. Da un lato alzare i tassi - afferma De Molli - era una misura in sé molto marginale per ridurre l’inflazione: il prezzo delle materie prime energetiche non dipendeva dalla politica monetaria di Francoforte, ma dalla dipendenza dalla Russia. La riduzione dell’inflazione, quindi, è stata resa possibile dalle politiche di diversificazione delle importazioni e dal conseguente calo del prezzo del gas. D’altro canto, il rialzo dei tassi della Fed, questo sì mirato alla riduzione dell’inflazione statunitense, interamente dovuta a cause interne, ha reso di fatto obbligato un rialzo anche in Europa. Immaginate cosa sarebbe successo se i tassi USA fossero saliti al 4%, mentre i tassi BCE rimanevano ancorati allo 0%: gli investitori avrebbero spostato i capitali lì dove vi sarebbero stati i maggiori rendimenti. Auspico, tuttavia, che i rialzi si interrompano e che dal prossimo anno possa essere varata una politica monetaria più accomodante».

Notizie buone e non

Per l’Italia in questi mesi in campo economico c’è stato un alternarsi di notizie negative e positive, a questo punto resta la domanda su quali possano essere le prospettive per l’economia italiana. «La notizia più positiva circa l’economia italiana - dice De Molli - riguarda l’andamento dell’export, che è proiettato verso una crescita del 6,8% nel 2023, superando i 660 miliardi di euro di valore. La situazione energetica, inoltre, lascia ben sperare: gli stoccaggi sono pieni e, grazie alle politiche di diversificazione dell’ultimo anno, il rischio di una stangata nei mesi invernali sembra remoto. A fronte di questi aspetti positivi, ci sono diversi elementi più pessimistici, sintetizzati dai dati sulla fiducia di imprese e famiglie, in costante calo. L’aspetto più rilevante è, ritengo, legato alla complessa situazione sociale che abbiamo nel Paese e all’aumento delle disuguaglianze esacerbato prima dalla pandemia e successivamente dall’inflazione. Per quest’anno le previsioni concordano su una crescita attorno all’1-1,2%. Per il 2024 l’intervallo è più ampio. Credo che anche il 2024 si chiuderà in positivo, ma su valori più contenuti rispetto a quelli di quest’anno».